La digitalizzazione delle imprese italiane

Negli ultimi anni, in Italia è cresciuta la consapevolezza rispetto all’importanza che riveste la trasformazione digitale.

Digitalizzare i processi aziendali significa, infatti, porre le basi per uscire dall’arretratezza strutturale e culturale in cui il paese appare ancora intrappolato e cogliere le opportunità offerte dall’innovazione.

Il processo di cambiamento, tuttora in corso, continua a svilupparsi in modo abbastanza eterogeneo nei vari comparti produttivi. Nonostante ciò, l’Italia si conferma il secondo paese manifatturiero europeo dopo la Germania e il settimo al mondo per l’utilizzo della robotica. Ci sono, dunque, tutte le condizioni affinché l’Italia possa svolgere un ruolo importante nel nuovo ciclo economico.

La situazione in Italia

Il Digital Economy and Society Index 2019, rapporto annuale sullo stato di digitalizzazione dei paesi europei, raffigura per l’Italia una situazione ancora poco incoraggiante. Lo studio mostra i progressi effettuati dai paesi europei rispetto ai loro programmi digitali, prendendo in considerazione 34 indicatori facenti capo a 5 aree:

  • Connettività;
  • Utilizzo dei servizi Internet;
  • Capitale umano;
  • Integrazione di tecnologie digitali da parte delle imprese;
  • Servizi pubblici digitali

La classifica generale posiziona l’Italia al 24esimo posto su 29 nazioni. Il Belpaese è ancora molto lontano da Regno Unito, Francia, Germania, Spagna. Insomma, la strada verso la digitalizzazione è ancora molto lunga.

Eppure, i segnali positivi non mancano. Dal punto di vista della connettività, ad esempio, rispetto alla classifica del 2018, l’Italia è riuscita a recuperare ben sette posizioni anche se urgono miglioramenti soprattutto rispetto all’impiego della banda larga ultraveloce.

Preoccupa, invece, la questione relativa al capitale umano. Meno del 50% degli individui in età compresa tra i 16 ed i 74 anni possiede competenze digitali di base. L’Italia si posiziona, in questa particolare classifica, al 26esimo posto. Siamo ben al di sotto della media europea anche sul fronte dei laureati in ICT (solo l’1%).

Se sul fronte dei servizi pubblici digitali l’Italia recupera qualche posizione piazzandosi al 18esimo posto, non si può dire lo stesso in merito all’utilizzo dei servizi Internet e all’integrazione delle tecnologie aziendali nelle imprese italiane. Quest’ultimo punto rivela che le aziende italiane fanno ancora molto fatica a cogliere le opportunità offerte dal commercio elettronico e dai servizi cloud.

Cosa è cambiato con il Covid 19

La diffusione del Covid-19 e la necessità di rispettare le disposizioni del governo per limitare il contagio ha spinto le aziende ad attuare politiche di lavoro agili. Secondo lo studio condotto da BVA Doxa, il 73% delle aziende italiane ha introdotto lo smart working per la maggior parte dei dipendenti. Politiche di lavoro agili sono state introdotte soprattutto dalle multinazionali straniere che hanno uffici anche in Italia.

Le aziende italiane hanno, quindi, scoperto che il lavoro intelligente può funzionare: il 90% delle aziende ha espresso un’opinione favorevole in termini di efficienza e gestione ottimale del lavoro. Ma c’è di più: per due aziende su cinque – in particolare quelle attive nei settori finanza, servizi pubblici e TLC – i cambiamenti organizzativi introdotti continueranno ad essere efficaci anche dopo la fine dell’emergenza.

Secondo alcuni studi, circa otto milioni di persone potrebbero beneficiare dello smart working in Italia. La strada verso il cambiamento, però, è ancora in salita. Soprattutto tra le PMI, vige ancora un’organizzazione aziendale altamente gerarchica. Inoltre, la produttività solo raramente viene misurata in base agli obiettivi raggiunti. Quasi sempre, infatti, viene confusa col numero di ore che un dipendente trascorre in ufficio. Il risultato è che la produttività dei dipendenti italiani è, spesso, inferiore rispetto a quella dei dipendenti di altri paesi europei.

Cosa ci aspetta in futuro

Il Covid-19 è stata una vera batosta per tantissime imprese italiane. Riprendersi da questo periodo non sarà difficile, soprattutto in considerazione del fatto che non sappiamo ancora fino a quanto dovremo convivere con l’emergenza epidemiologica.

Il Governo italiano ha introdotto diverse iniziative per incentivare le imprese a non licenziare i propri dipendenti e ad attivare, laddove possibile, processi di lavoro in smart working.

Sta di fatto, però, che difficilmente sarà possibile, in così poco tempo, risolvere i problemi di arretratezza tecnologica e digitale che l’Italia si trascina da anni. Urgono investimenti importanti soprattutto in ambito formativo ma è necessario che questi sforzi siano integrati, coinvolgendo non soltanto le imprese ma anche e soprattutto le scuole, a partire da quelle primarie.

La chiusura forzata ed anticipata dell’anno scolastico ha evidenziato le criticità e le difficoltà del sistema scolastico italiano nonché le lacune, anche infrastrutturali, da parte delle famiglie italiane. Molti bambini vivono in case sovraffollate e in molte abitazioni, oltre ad essere assente una connessione Internet, mancavano anche PC e tablet, dispositivi indispensabili per seguire le lezioni a distanza.

Dunque, la digitalizzazione delle imprese italiane andrebbe analizzata ad un livello più ampio e generale ed affrontata attraverso strumenti concreti che possano contribuire a ridurre il gap che imprese e lavoratori pagano in confronto alla stragrande maggioranza dei paesi europei.

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